La mia miglior cena italiana di sempre ha un nuovo luogo, Alba, e una nuova data: sabato 18 febbraio 2012. Il gran sacerdote celebrante – l’haute cuisine è un po’ una religione misterica con i propri iniziati ed adepti – porta il nome di Enrico Crippa. E qui non disdegniamo affatto d’innalzarne un poco gli inni, ché se li merita. Noi appassionati buongustai tendiamo a incasellare la materia oggetto della nostra analisi in formule esemplificative: cucina di ricerca, oppure materica, oppure di tradizione…
Quando abbiamo chiesto a Crippa come considerasse la propria, ci ha risposto così: «Legata fortemente al territorio: quasi tutto proviene al massimo da 100 chilometri di distanza. Eppure qualcuno potrebbe non percepirla come tale, mi sento libero di spaziare, di cercare la modernità, di inserire un po’ di rigore orientale… L’alga in Langa, insomma!». Sintesi efficace ma che potrebbe essere ancora non sufficientemente esplicativa, d’altra parte lo chef è maestro al fornello, non al microfono. Toccherebbe piuttosto agli scribacchini come il sottoscritto trovare il modo di spiegare meglio: ma qui siamo vittime (e insieme carnefici) di un cattivo costume diffuso, per il quale tanto, troppo, è “magia”, “superlativo”, “indimenticabile” e da “applausi”. Se tutto viene descritto come fantastico, alla fine più nulla lo si considera più davvero tale. E noi rimaniamo senza parole.

Tagliatelle al pomodoro, piatto gluten free (foto Brambilla/Serrani)
E allora facciamo parlare le portate. Perché la mia miglior cena italiana di sempre, al
Piazza Duomo di Alba, tavolo dello chef apparecchiato per due tra la stretta cucina davanti e la postazione dessert alle mie spalle, si è materializzata in 26 assaggi che han reso omaggio a
Identità Golose (dove molte delle portate sono state raccontate in anteprima) e onorato la mente capace di concepirli. Assoluto lusso della semplicità è ad esempio la perfetta
Insalata sotto la neve, dove quattro tipologie diverse (variegata, scarola, trevisana e infine di campo, quella che i piemontesi chiamano
trusot) riscrivono, adattandolo alla stagione, un classico paradigmatico di
Crippa. Le foglie messe sottovuoto e aromatizzate sono condite con varie essenze: olive taggiasche, acciughe, peperoni di Senise, olio, sale, una punta di aceto di Barolo… Oppure sogneremmo d’accompagnare sempre un lussuoso Martini con quelle “semplici” finte olive, la verde che è una ricostruzione dell’ascolana ma senza la frittura (ripiena di battuta di vitella giovane piemontese, l’esterno di glassa di polpa d’oliva verde, prima frullata e poi gelatinata), la nera che guarda invece al mare (la farcia di gamberi di Sanremo o di scampi, attorno le taggiasche rese con la medesima tecnica).
Sontuoso esempio glocal, che sbircia dietro l’uscio e insieme dall’altra parte del mondo è la
Tinca in carpione, arricchita di tocchi orientali e poi avvolta in una sfoglia dorata – lo chef è pur sempre uno dei
Marchesi boys. Viene quindi in mente un altro assaggio,
Capesante, ricci di mare, pecorino, cime di rapa, umeboshi; oppure un signature dish,
Crema di patate d'alta Langa, uovo di quaglia al lapsan souchong, manifesto di una tavola dove il tè nero cinese affumicato rimanda al camino di casa: insieme linguaggio del mondo ed evocazione il passato, in un gioco di rimandi che scava nella memoria e colpisce inevitabilmente tutti i sensi, non solo il gusto.
I due elementi – linguaggio del mondo ed evocazione – tornano costantemente nell’arte di Crippa, ne costituiscono il dna:
Rape con la loro gelatina, salsiccia e dadolata di foie gras. Oppure
Tagliatelle di pomodoro, che richiama la forza evocativa dei semplici tagliolini con pomodoro fresco appena raccolto che tanto piacciono a
Marcello Ceretto, antitesi complementare del fratello
Bruno: qui una passata di pomodoro viene legata con la maizena, poi stesa sul silpat e asciugata in forno fino a quando si ottiene un foglio abbastanza elastico da potersi tagliare con le forbici, seccato nuovamente e poi cotto come una pasta normale, bontà
gluten free.

Enrico Crippa, 41 anni, con il sous chef del Piazza Duomo Antonio Zaccardi, 34 anni
C’è la Langa e il mondo, invece, nel
Riso al cardamomo nero e tartufo bianco, per il quale galeotto fu un sacchetto regalato allo chef dal suo omologo dell’
Imperial di New Delhi, di ritorno da un viaggio in India, e poi rimasto un anno inutilizzato nelle dispense d’Alba. Nel subcontinente la spezia serviva per profumare il riso al vapore col curry; qui, tostandone i semi e poi frullandoli, prende un aroma balsamico e affumicato che si sposa alla perfezione con il tubero disidratato.
Seguono:
Piccione di Sante, cavolo rosso, quattro polveri (lapsang souchong, cardamomo, cannella, lampone: delizioso);
Lepre royale;
Croccante di semi di zucca e malghesino… Happy end dolce? Se vogliamo citarne uno, dopo
Colori d’autunno, sorta di reinterpretazione del classico bunet, ecco arrivare
Liquirizia, fine pasto con effetti vagamente digestivi. La radice che giunge in tavola è in verità scorzonera pelata (e dunque bianchissima) cotta sottovuoto - 40 minuti a 100°C - con una soluzione di acqua, zucchero e liquirizia, per restituirle l’aspetto
total black. Viene servita con meringhe al limone, quenelle di gelato di fior di latte e crema pasticcera il cui latte è rimasto in infusione col grano saraceno.
Piazza Duomo
piazza Risorgimento, 4
Alba (Cn)
+39.0173.366167
Prezzi medi: antipasti 32.5, primi 30, secondi 50, dessert 22 euro
Menu degustazione: 120, 130 e 140 euro Chiuso: domenica sera e l'intero lunedì; a giugno e luglio anche domenica a pranzo, da ottobre a dicembre solo il lunedì